Tantissime le attività di ristorazione di Avola tra i cento firmatari di un documento congiunto, inviaato al Governo nazionale. Si tratta nello specifico di gestori di ristoranti e bar che hanno realizzato una lettera, inviata al presidente del consiglio Giuseppe Conte, in cui descrivono la situazione di grande crisi per il settore e delle impossibilità di attuazione di certe regole che sarebbero previste dal nuovo decreto che prevede lo svolgimento della cosiddetta “fase 2”.
Questo il contenuto della lettera: “Signori del governo, ora basta. Smettetela di giocare con la nostra pelle. La dovete smettere di far trapelare informazioni sulla nostra categoria, su improbabili ipotesi di apertura con plexiglas, mascherine e tavoli a 2 metri, che hanno il solo scopo di confondere ancora di più le nostre giornate che stanno andando avanti senza un vostro aiuto. Basta girarci intorno, perché se ci atteniamo a quello che si sta dicendo in questi giorni è chiaro che voi di ristorazione non capite nulla.”
“Dietro ad una attività ristorativa non c’è solo la partita Iva , il titolare, ma ci sono i dipendenti, i fornitori, i tecnici che fanno manutenzione… un esercito di persone che se porti i tavoli da 30 a 10 non ha senso più di esistere.” Così come non avrebbero più senso le utenze e i relativi costi per soddisfare un’offerta di 30 tavoli e un personale ingaggiato per la stessa copertura.
“Se le soluzione per riaprire al pubblico sono quella finora trapelate, ribadiamo il concetto: noi rimaniamo chiusi – chiosano -. Non siamo una fabbrica. Il nostro lavoro è basato sul piacere, sulla socialità. A queste condizioni non possiamo aprire. Queste non sono le condizioni per fare ristorazione. Non abbiamo ancora ricevuto i 600 euro di marzo. I dipendenti non hanno ancora ricevuto la cassa integrazione di marzo e siamo a fine aprile. E noi dovremmo riaprire, con il nostro modello di business dimezzato e con un economia che è al collasso, ma con lo stessa tassazione di prima ? No grazie. “
“Qui c’è gente che vuole lavorare. Ma per lavorare ci devono essere le condizioni. Già erano difficili prima le condizioni che lo Stato ci dava per fare impresa. Figurati ora che a tasse e restrizioni si aggiunge l’emergenza di una pandemia mondiale. No caro Conte. Non possiamo riaprire alle condizioni che sentiamo dire in questi giorni. Vuoi che riapriamo? Vuoi che ci prendiamo il nostro rischio imprenditoriale? Ripartiamo dalle cose semplici. Qui c’è gente che non è solo “di protesta” ma anche di “proposta”. A quanto ammonta la tassazione sulla piccola e media impresa? Al 60/65%. Vuoi che riapriamo? Perfetto. Abbiamo bisogno di farci dei conti per il costo del personale, per l’Iva, per Irap, per l’Irpef, per l’Imu, per la tari, per la tasi, per il suolo pubblico. Non ce la facevamo prima caro Conte e non ce la faremo se apriremo fra 15 giorni nella stessa Italia fiscale di prima. Non vogliamo prestiti, ne 600 euro, se è questa la cifra che ti pare degna del nostro lavoro e della nostra professionalità.
Vogliamo fare il nostro lavoro. Vogliamo farlo nelle condizioni dignitose per farle: economiche e sociali. Oppure non apriamo. Non paghiamo nessuna tassa. Noi fino ad oggi, abbiamo sempre mantenuto le nostre responsabilità. Adesso tocca a voi agire, per non dichiarare il fallimento di una intera nazione. La soluzione è semplice. Vuoi che tutti apriamo e che nessuno sia in grado di pagare, oppure vuoi che apriamo e che tutti paghino il “giusto”? Confrontati con noi ristoratori. Confrontati con le nostre associazioni di categoria“.